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  #1  
Vecchio 18-06-2006, 23:25
Tohru Honda Tohru Honda non è connesso
Angelo
 
Data registrazione: Jun 2006
Messaggi: 4
Predefinito Never Ending Banquet

Questa è la prima fan fiction che ho scritto, su Furuba (e non l'ho ancora terminata; attualmente, è composta da un prologo e due capitoli piuttosto lunghi). Il progetto è abbastanza ampio, e prevede due atti principali. Il primo prende piede sette anni dopo l'ipotetica conclusione della storia (in Giappone, mancano tre capitoli alla conclusione...per cui, pur non conoscendo il finale vero e proprio, un po' per intuito e un bel po' per fantasia, ho ricostruito qualcosa) e vede protagonisti i personaggi principali di Furuba, ormai cresciuti, e, in parte, i loro figli (chi ne ha, ovviamente ^^"); poichè era nelle mie intenzioni ricostruire una rete di misteri simile a quella presente nell'opera originale, ho messo su una storyline che richiama nuovi inghippi...ma non anticipo nulla, per il momento.
Di seguito, potrete leggere il prologo, narrato dal punto di vista del figlio di Kyo e Tohru.
Buona lettura ^^, spero vi piaccia ç____ç...



PROLOGO


“C’è stato un periodo, nella mia infanzia, in cui credevo di essere un bambino normale.
L’idea di essere “diverso” non mi aveva mai sfiorato, neppure per un secondo.
Non pensavo che il trasformarsi in topo ogni volta che la mia mamma mi abbracciava, significasse “essere strani”.
Non credevo che il sentirsi in qualche modo legati a quella persona dai capelli neri e lo sguardo triste, significasse “non essere normali”.

No, non l’avevo mai pensato. Mai.

Dopo un po’, però, cominciai a chiedermi perché i miei amici non si trasformavano, quando le loro madri li prendevano in braccio.
Perché papà mi impediva di andare a giocare con le mie compagnette dell’asilo.
Perché i miei amici ridacchiavano quando chiedevo loro in che animale si trasformassero.

Conoscevo solo altri tre bambini che si trasformavano come me.
Conoscevo solo altri tre bambini come me.
Anche loro credevano di essere normali.
Anche loro si ponevamo le mie stesse domande.
Ma nessuno di noi quattro osava chiedere qualcosa ai propri genitori.
Forse non volevamo conoscere la risposta.
Così, ubbidivamo e non ci avvicinavamo alle bambine.
Ma una di noi quattro era una bimba.
E lei poteva avvicinarsi alle sue compagne.
Ma non ai bambini.
E noi cercavamo di non chiederci perché.

Finchè, un giorno, un compagno mi chiese perché la mia mamma non mi abbracciava mai.
Se non mi abbracciava, allora non mi voleva bene.

Non ricordo bene ciò che provai in quel momento.
Però ricordo di aver scaraventato a terra quel bambino, con un pugno.
Forse perché mi ero ricordato di aver visto tutti i miei amici in braccio alle loro madri, almeno una volta.
Mentre la mia mamma non mi aveva mai abbracciato davanti agli altri.
Si vergognava di me? E perché?
O davvero………davvero non mi voleva bene?
La mia mamma non mi voleva bene?
Perché non ero normale?
…………………per la prima volta, lo pensai.
Non ero normale.
Un bambino che si trasformava in topo non era normale.

Quando dissi questo a mio padre, lui rimase in silenzio.
Senza guardarmi.
Perché avevo capito quello che lui cercava di nascondermi.
Che suo figlio era “strano”.
Ma in quel momento non m’importava.
Che importava se ero diverso?
Ma la mamma…………
Scoppiai a piangere.
E chiesi a mio padre se la mia mamma mi voleva bene.

La mia mamma voleva bene a un bambino strano?

Lui si chinò alla mia altezza, per fissarmi dritto negli occhi.
Non avevo mai visto, né vidi mai più, uno sguardo che racchiudeva tanto amore e tanta rabbia nello stesso tempo, negli occhi di mio padre.
Quello che mi disse, però, non mi convinse del tutto.
Perché era quello che avrebbe detto qualunque padre al proprio figlio.
Anche se non fosse stato vero.
Quando fece per andarsene, io lo trattenni.
Avevo un’ultima domanda.
Non importante quanto la prima. Ma credevo di doverlo sapere.
Così, chiesi a mio padre chi ero.

E lui mi disse che ero “maledetto”.

Non capii bene cosa volesse dire.
Non avevo mai sentito pronunciare a nessuno quella parola.
Eppure, ebbi paura.
Era una parola paurosa.
Era una parola che esisteva dentro di me.
Avrei voluto strapparla via, ma non potevo.
Se l’avessi strappata via dal mio corpo, sarei morto.
Perché io ero quella parola.
Ebbi paura di me stesso.
Quando avevo paura, andavo a rifugiarmi tra le braccia della mamma.
Ma quella volta non potevo abbracciarla.
Non sapevo perché, ma credevo che se mi fossi trasformato, quell’orribile parola sarebbe uscita allo scoperto e si sarebbe resa leggibile a tutti.
Tuttavia, andai ugualmente dalla mamma. Mi sedetti accanto a lei, nel divano.
Era così bella, la mamma.
Come la principessa di una di quelle favole che lei stessa mi raccontava per farmi addormentare.
E io aspettavo sempre che lei finisse la storia, prima di addormentarmi.
Perché volevo ascoltare la sua voce fino alla fine della fiaba.
Lei mi guardò sorridendo, distogliendo lo sguardo dal ricamo con cui era alle prese; osservandomi, sembrò accorgersi che non stavo bene, perché assunse un’espressione preoccupata.
Non le diedi tempo di chiedermi nulla. Ma le posi la stessa domanda che avevo fatto a papà; la seconda, naturalmente. Sapevo già cos’avrebbe risposto alla prima.
Lei mi guardò.
Cosa sono io, mamma?
Dimmelo, ti prego.
Non rimase in silenzio. Né si adombrò in volto.
Sorrise.

E mi disse che ero un bambino speciale.

Guardando la sua espressione mentre pronunciava quella frase, capii che, se non avevo avuto fiducia nelle parole di mio padre, avrei dovuto averla almeno nello sguardo che mi aveva rivolto.
Perché mia madre mi voleva bene. Di sicuro.
E pensai che, certamente, ero maledetto perché avevo osato dubitare dell’amore della mamma.

Tuttavia, decisi di non pensare più a quella parola paurosa.
“Maledetto”. “Speciale”.
Erano due parole che mi si addicevano entrambe.
Eppure, a quel tempo, preferii credere all’amore della mamma.
Preferii credere di essere speciale.
Fra due parole sconosciute, scelsi quella. Forse perché era stata accompagnata dal sorriso di mia madre. Era per questo che suonava così bella, ne sono certo.
Forse sbagliai. Forse, se avessi scelto di dare ascolto a mio padre, sarei più consapevole di me.
Perché “maledetto” è probabilmente il termine più vero, quello che più mi si addice.
Ma, nel momento in cui scoprii di esserse “diverso”, volli credere alla mamma.
Lei che pure era diversa dagli altri, ma in modo meraviglioso.

Man mano che il tempo passava, mi accorsi che anche i miei amici avevano capito quello che io avevo scoperto prima di tutti.
E, nello stesso tempo, capii che loro avevano scelto di essere “maledetti”.
Forse è un bene. Forse saranno più preparati di me, quando dovremo affrontare tutto questo.
Eppure, non riesco a pentirmi di aver creduto alla mamma, quella volta.
Perché, ogni volta che ci ripenso, mi ritorna in mente il suo sorriso meraviglioso.
Così, da quando capii di non essere come gli altri, sono sempre stato convinto di essere speciale.”
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  #2  
Vecchio 19-06-2006, 10:35
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Jappofan Gēmu Otaku 
Predefinito Re: Never Ending Banquet

è meravigliosa, stupenda

il passaggio dove dice "ero maledetto perché avevo osato dubitare dell’amore della mamma" e le parole che gli risuonavano in mente “Maledetto”. “Speciale” è a dir poco superlativo su continua sei bravissima
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  #3  
Vecchio 19-06-2006, 12:06
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Chiaretta Chiaretta non è connesso
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Angeli del Forum 
Predefinito Re: Never Ending Banquet

Mi è piaciuta! Davvero!! I passaggi logici e poetici mi sono sempre piaciuti un sacco! Più che altro ho un dubbio esistenziale: l'io narrante non può essere Yuki, giusto? Sembrerebbe dal fatto che erano in quattro ed uno era una bambina, però la madre di Yuki non è affatto così dolce, tanto più che l'ha regalato subito ad Akito... sono incerta se si tratta di una caratterizazzione OOC (Out Of Carachter) della mamma o se il personaggio non è Yuki... però spero di poter leggere presto il seguito!
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  #4  
Vecchio 19-06-2006, 22:44
Tohru Honda Tohru Honda non è connesso
Angelo
 
Data registrazione: Jun 2006
Messaggi: 4
Predefinito Re: Never Ending Banquet

Me contenta che vi sia piaciuta ^//^...

Più che altro ho un dubbio esistenziale: l'io narrante non può essere Yuki, giusto? Sembrerebbe dal fatto che erano in quattro ed uno era una bambina, però la madre di Yuki non è affatto così dolce, tanto più che l'ha regalato subito ad Akito... sono incerta se si tratta di una caratterizazzione OOC (Out Of Carachter) della mamma o se il personaggio non è Yuki... però spero di poter leggere presto il seguito!
No, l'io narrante è il figlio di Kyo e Tohru, dovrei averlo scritto nella nota introduttiva ^^; i bambini a cui ha accennato faranno la loro comparsa in seguito...a proposito, ecco il primo pezzo del capitolo iniziale.



“Tanto tempo fa, Dio invitò gli animali ad una festa…”


Quasi tutti i suoi sogni cominciavano così.
Non riusciva a ricordarne i dettagli, con precisione. Nello stesso momento in cui apriva gli occhi, i pensieri di quel se stesso che si svegliava non appena lui si addormentava, svanivano come neve al sole, senza che se ne accorgesse.
Però, era certo di essere stato molto felice di partecipare a quelle feste immaginarie.
Ricordava solo un insieme di colori, di suoni, di risate………e la gioia che provava nell’esserne circondato.
Non era la festa della fiaba che la sua mamma gli raccontava; non era la stessa.
Quella era…triste, cupa; ai suoi occhi, appariva come una voragine pronta ad inghiottirlo, per non lasciarlo più andare. Non avrebbe mai desiderato farne parte, per nulla al mondo.
La festa dei suoi sogni, invece, era la più bella rappresentazione della felicità che avesse mai visto in vita sua. C’era sempre stata, ci sarebbe stata sempre, non sarebbe mai finita…
Ma ecco che la realtà gli veniva incontro, per smentirlo. La sveglia cominciava a suonare, e i genitori venivano a riprendere i propri figli, per riportarli a casa; lui avrebbe voluto che anche loro si unissero ai festeggiamenti, ma sembravano così ansiosi di portarlo via…suo padre, sembrava ansioso di portarlo via.
Si rigirò nel letto, sperando che quel rumore fastidioso cessasse. Era assurda, la sua sveglia; a regalargliela era stata la zia Kagura, il che diceva tutto…
Si trattava, infatti, di un curioso aggeggio a forma di gatto dal pelo arancione.
E a lui non erano mai piaciuti i gatti; forse era questo l’unico punto su cui non era d’accordo con la sua mamma. Con suo padre, invece, non era d’accordo proprio su nulla.
Oh, non è che l’antipatia per questi animali derivasse dall’ essere il topo…non aveva neanche mai conosciuto il gatto, non sapeva chi fosse. A volte, gli capitava di chiedere informazioni a riguardo, ai genitori o agli zii; ma era inutile, tutti glissavano abilmente sulla questione…e lui smetteva di fare domande. Andava bene così, in fondo; la sua era semplice curiosità.
E poi, era un bambino. Non credeva che dei semplici silenzi potessero avere così tante interpretazioni.
Era solo un bambino a cui non piaceva il proprio padre. E suo padre era un gatto.
Qualcuno spense la sveglia. Quando aprì gli occhi, vide sua madre, che gli sorrideva dolcemente, come sempre. Shinji ricambiò il sorriso, stringendo a sè la mano con la quale la donna gli stava scompigliando i capelli, per gioco.
Lei era la creatura più bella del mondo. Era così. Semplicemente…era la verità.
-Buongiorno.- disse lei, chinandosi a dargli un bacio sulla fronte. Lui sorrise, richiudendo gli occhi e accoccolandosi sul cuscino.
Era in quei momenti, che pensava che, in fondo, non gli importava poi tanto delle prese in giro di Rui, sul suo attaccamento alla mamma.
Era solo invidioso, perché lei era buona, dolce e bellissima; e lui era fiero di poter dire di essere figlio di una persona simile. Di poter affermare che, per la sua mamma, era la persona più importante del mondo, insieme a papà.
Non c’era bisogno che lei dicesse una cosa simile, per capirlo. Perché era…sincera, cristallina, in quello che provava; erano i suoi occhi, l’espressione che assumeva quando lo guardava, a dire di amarlo. Il suo desiderio più grande era quello di imparare a comunicare i propri sentimenti allo stesso modo, perché a parole non riusciva a esprimerli. Non riusciva a dire a sua madre quanto tenesse a lei.
Voleva farlo, ma ogni parola…sembrava sbagliata. Aveva paura che non lo sapesse.
Aveva paura che pensasse che non l’amasse. Lei, che meritava più amore di chiunque altro al mondo.
-Ciao…- disse, piano. Le immagini del sogno non l’avevano ancora abbandonato, non del tutto. -…la torta alle fragole…-
-Eh?- fece sua madre, perplessa, per poi riprendere a sorridere –Shinji…è un sogno. Svegliati.-
Per la verità, avrebbe voluto lasciarlo riposare un altro po’; sembrava un angioletto, con l’aria così serena e felice. Non è bello rompere i sogni capaci di regalarti certe espressioni.
Ma era davvero tardi. Yuki sarebbe arrivato di lì a poco, e farlo aspettare non sarebbe stato per nulla carino, considerato il disturbo che si prendeva per loro.
Shinji si rigirò nuovamente nel letto, prima di decidersi ad aprire nuovamente gli occhi e ritornare alla realtà.
Guardò sua madre; era da qualche mese, ormai, che aveva la pancia piuttosto gonfia. Non era certo di aver capito bene, ma sembrava che lì dentro si trovasse la sorellina che stava per arrivare. E dire che lui era convinto che si ordinassero per posta, e che venissero consegnate insieme al resto della corrispondenza.
-…si.- disse –Che ore sono?- chiese, stropicciandosi gli occhi con le mani. Vedeva ancora i festoni a forma di frutta.
-Dunque…- cominciò lei –Sono le…-
-…7.30!!!- esclamò una terza voce, improvvisamente. Shinji sobbalzò, spostando lo sguardo verso la porta della camera.
Suo padre stava in piedi sulla soglia, guardandolo con un’espressione spazientita. Ci risiamo.
-Sai cosa succede, se quando quel maledetto topo arriva qui, tu ancora non sei pronto? Che…-
Il bambino sobbalzò sul letto, mentre Tohru si voltò a guardare il marito, con gli occhi sbarrati.
Lui sussultò, non appena si rese conto di quello che aveva detto; il cipiglio irritato di prima svanì, per lasciare il posto ad un’aria chiaramente imbarazzata. –Beh, io…non intendevo che…- balbettò, a bassa voce.
-Cattivo, papà!!!- protestò Shinji, urlando.
Tohru stava per entrare nel panico –N-no…non voleva offenderti….è spontaneo, per lui, dire che…cioè, è in buona fede, non…-
-Tu sarai un maledetto gatto!- ribat il bambino, troppo arrabbiato per prestare attenzione alle parole della madre. Quest’ultima sgranò gli occhi, voltandosi verso Kyo, la cui reazione non si fece aspettare.
-Dannato marmocchio!- esclamò, infatti, con furia, avanzando di qualche passo –Dovresti imparare a portare rispetto a tuo padre, invece di comportarti come un moccioso saccente!-
Tohru sospirò piano, assistendo all’ennesimo scambio di battute pungenti, tra i due; di solito quei dialoghi animati si protraevano per almeno mezz’ora, senza che nessuno, neanche lei, fosse in grando di porvi fine. Una serie continua di grida, rimproveri, insulti…leggeri, tutto sommato; o, perlomeno, molto infantili. La causa scatenante poteva essere di qualsiasi genere, dalla più piccola mancanza al lapsus più sciocco, come in quel caso; occasioni simili si presentavano quasi ogni giorno, per cui, ormai, quei litigi sembravano essere diventati degli obbligati riti quotidiani.
Lei, dal canto proprio, li trovava quasi rilassanti; era un po’ come tornare al passato, quando Yuki e Kyo si pizzicavano per ogni cosa, arrivando anche alle mani, spesso e volentieri. Si era sempre preoccupata, aveva sempre sperato che quell’astio si consumasse; ma, alla fin fine, quei litigi, che con il passare del tempo si erano fatti più rari e di sempre minore intensità, avevano cominciato a rappresentare una di quelle cose che la faceva sentire a casa, al sicuro.
Piccoli screzi, battutine acide…ma familiari e quasi tenere, se ci si era abituati. Nessuna cattiveria.
Per cui, sorrise lievemente.
Kyo sembrava un ragazzino; lo stesso che aveva fatto il suo ingresso a casa di Shigure spaccando il tetto, desideroso di scontrarsi con Yuki. Un po’ irritabile, scostante…Kyo; il suo Kyo, a sedici anni. Forse a causa dell’estrema somiglianza fra il proprio carattere e quello di Shinji, non poteva fare a meno di pizzicarsi, quando il figlio lo provocava, reagendo così come avrebbe fatto un bambino.
Shinji, invece…beh, lui era un caso un po’ diverso.
Tohru non avrebbe mai dimenticato, non avrebbe mai potuto dimenticare…quel “ti odio”, pronunciato fra le lacrime. Nessuno l’avrebbe dimenticato. Risuonava ancora, così chiaramente, fra le mure di quella casa.
Rabbrividì, in modo quasi impercettibile. E scosse la testa.
Una volta. Un’altra ancora.
Per scacciare via i brutti pensieri.
Poi, spostò lo sguardo sul suo bambino, che ancora, con le guance arrossate e un’espressione infastidita, stava litigando con il padre.
Un bimbo così piccolo…era da proteggere. Doveva…voleva proteggerlo. Disperatamente.
Il suo tesoro più prezioso.
Si alzò lentamente dal letto, appoggiandosi al muro per evitare di cadere; ormai era all’ottavo mese di gravidanza, e voleva assolutamente evitare qualsiasi urto o incidente che potesse danneggiare la bambina.
A differenza di quanto accaduto mentre aspettava Shinji, questa volta lei e Kyo avevano voluto sapere prima se il nascituro fosse maschio o femmina…semplicemente perché il figlio premeva affinchè gli dicessero se avrebbe dovuto prepararsi a condividere i giocattoli con un fratellino, o proteggere una sorellina dalle compagnette di scuola, che senza dubbio, come diceva lui, sarebbero state delle irrimediabili galline.
Era una bambina.
Appena saputo, Tohru aveva insistito perché le venisse preparata una stanza adatta, con le pareti color rosa zucchero, le lenzuola piene di merletti, bambole e peluches dappertutto; Kyo l’aveva accontentata senza protestare, nonostante fosse fermamente convinto dell’eccessiva “confettosità” del tutto. Ma Tohru era tanto felice di arredare quella camera, per cui non aveva sollevato nessuna obiezione. Solo, lo preoccupava la troppa esuberanza della moglie che, da quando aveva saputo di essere in dolce attesa, pareva aver messo su una marcia in più, non facendo altro che andare avanti e indietro tra casa e negozi, acquistando ogni cosa le sembrasse adatta al nuovo arrivo. Per i primi mesi, quando ancora la gravidanza sarebbe stata notata solo da un occhio attento, Kyo l’aveva lasciata fare; ma quando la cosa si era fatta più impegnativa e dura da sopportare, aveva preso provvedimenti, senza esitazione, imponendole una serie di paletti che lei avrebbe dovuto rispettare, per evitare di farlo ammattire per la preoccupazione.
Uno di quelli, era l’evitare di alzarsi così di scatto, senza qualcuno che la sostenesse.
-Tohru!!!- esclamò, interrompendo bruscamente la discussione con il figlio, per precipitarsi dalla moglie. Dopo averle cinto la vita con un braccio, delicatamente ma con fermezza, fece in modo che si appoggiasse a lui.
Poi le riservò un’occhiata severa. –Non farlo mai più!- disse, ad alta voce –Cosa ti costa fare come ti dico, una volta tanto? Vuoi farmi morire?-
Evidentemente, si.
Perché ogni volta che le faceva un discorso del genere, lei gli rivolgeva un sorriso che sembrava quasi prenderlo in giro, per quanto diceva. Dolce, tenero, affettuoso…lui adorava quel tipo di sorriso; però non gli piaceva affatto che lei prendesse alla leggera una cosa tanto importante, perché era responsabile non solo di se stessa, ma della loro bambina. E lui si sentiva responsabile di entrambe, oltre che di Shinji.
Erano la sua famiglia. Si, anche lui, anche il gatto, ne aveva una.
Aveva una famiglia che amava, da cui era amato.
C’era Tohru. Il fiore più prezioso, la persona più bella, la moglie che amava infinitamente.
C’era la bambina che stava arrivando. E credeva fosse normale volerle bene ancora prima che nascesse, così com’era accaduto per Shinji.
E c’era Shinji.
Lui era…suo figlio. Suo figlio.
Era difficile spiegare il legame esistente fra loro, in altri termini. Qualcosa che lui per primo non sapeva definire, che era più e meno di un normale rapporto tra padre e figlio.
-Scusami…- fece Tohru, a bassa voce -…volevo andare a prendere la colazione per portarla a Shinji con un vassoio, visto che eravate qui a…conversare.- concluse, incerta.
Kyo la guardò come se fosse impazzita. –Andare…prendere…portare…- balbettò, quasi in stato confusionale -…stai…stai delirando?!?- esclamò, con tutto il fiato che aveva in gola. Poi si voltò a fissare Shinji, come sorpreso di vederlo ancora lì –E tu, che fai? Fila in cucina, e vedi di sbrigarti! O vuoi che tua madre si prenda il disturbo di servirti direttamente in camera?!- sbraitò, fulminandolo.
Il bambino scosse furiosamente la testa, saltando giù dal letto –Certo che no! Vado subito mamma!- disse, mettendosi a correre verso la cucina. Prima di scomparire per il corridoio, però, si voltò un’ultima volta verso il padre, lanciandogli un’occhiataccia –Stupido gatto.- sentenziò, per poi schizzare via come un fulmine.
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  #5  
Vecchio 19-06-2006, 22:46
Tohru Honda Tohru Honda non è connesso
Angelo
 
Data registrazione: Jun 2006
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Predefinito Re: Never Ending Banquet

Kyo borbottò qualcosa, ma non reagì, probabilmente perché preoccupato di urtare Tohru, che era ancora aggrappata a lui. Sospirò rumorosamente, volgendo lo sguardo verso di lei –Ok, meglio che ti sdrai sul divano.- disse, per poi stringerla più forte a sé, e condurla lentamente verso il salone.
Lei sorrise, guardandolo senza che lui se ne accorgesse; nonostante trovasse tutte quelle attenzioni esagerate, doveva ammettere che le faceva piacere vedere il marito così affettuoso, con lei. Come sempre, d’altro canto.
-Mh?- fece lui, quando, poco dopo aver oltrepassato la soglia del salotto, notò gli sguardi che Tohru gli rivolgeva –Che c’è?- le chiese, perplesso.
Le scosse la testa, lentamente –Niente.- rispose, continuando a sorridere.
Lui alzò le sopracciglia –Se questo è un modo per criticare il mio modo di fare, non attacca.- ribat –Non so come la pensi tu, ma io vorrei evitare di vederti cadere dalle scale, nel tentativo di recuperare un orsacchiotto rosa…-
-Non stavo cade…- iniziò Tohru, prontamente interrotta da Kyo.
-Si che stavi cadendo!- rispose lui, alzando il tono di voce, con un’espressione d’orrore dipinta sul volto –Ci mancava tanto così….-
S’interruppe, poiché arrivato in prossimità del divano. Sempre tenendola per la vita, fece in modo che la moglie vi si sdraiasse, allontanandosi quel tanto che bastava per permetterle di sistemarsi, comodamente seduta. Poi si guardò intorno, come in cerca di qualcosa.
-Bene…che vuoi fare? Vuoi che ti porti qualcosa da leggere, che accenda la tv…vuoi telefonare a qualcuno?- chiese, facendo un rapido elenco mentale di ciò che poteva suggerirle per passare il tempo.
Lei sospirò –Mi sento inutile, se mi dici così…-
Quello era l’aspetto negativo delle premure che Kyo dimostrava di avere nei suoi riguardi.
Avrebbe voluto finire di preparare la stanza per la bambina, ad esempio; ma presentare al micio una simile richiesta era improponibile, considerando che lui non le permetteva nemmeno di fare da sola la strada dalla camera di Shinji al divano.
Kyo volse lo sguardo verso di lei, con un’espressione seria dipinta sul viso. Poi, senza dire una parola, si chinò accanto al divano, per poterla guardare negli occhi.
-Tu…non sei inutile.- disse, in tono fermo. Allungò lentamente una mano verso il viso di lei, prendendole una ciocca di capelli fra le dita. –Hai in grembo la mia bambina.- fece una breve pausa, durante la quale prese a giocherellare con i capelli della moglie - Ti chiedo solo…di non fare cose avventate. Lo so che, forse, esagero, ma sono io…che mi sento inutile.-
Si sentiva inutile, perché lei stava sempre male, e lui non poteva farci nulla.
Ricordava di essersi sentito allo stesso modo, sette anni prima. Inutile, quasi di peso.
Poteva solo preoccuparsi.
Lei lo fissò, riservandogli uno sguardo a metà fra il perplesso e il commosso; poi gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio –Potresti occuparti della stanza della bambina…potrebbe farti sentire a dir poco indispensabile.- disse, ridacchiando.
Sapeva bene quanto il marito fosse contrariato all’idea di fare di quella camera una specie di sacchetto per confetti; ma lei voleva davvero che sua figlia avesse l’impressione di trovarsi su una nuvola, quando si sarebbe trovata lì a giocare.
Kyo deglutì silenziosamente –Beh…io non ho il tuo stesso estro, per queste cose…- cominciò, titubante, senza rendersi conto che Tohru lo stava prendendo in giro -…ma, se ti fidi…va bene, ci penso io.-
A questo punto, entrambi sentirono una forte risata, proveniente dall’ingresso del salotto.
Era Shinji.
-Papà…che decora la stanza?!? Mamma, se vuoi, faccio io…non puoi lasciare che quello stupido gatto la trasformi nella cantina degli orrori!- esclamò, tra un risolino e l’altro.
La strage imminente venne interrotta sul nascere dallo squillo del campanello.
-Vado io!- disse Shinji, saltellando velocemente verso la porta, zaino rosso sulle spalle; pensò che, forse, sarebbe stato meglio non proporsi per un simile compito, non appena, dopo aver girato la maniglia del pesante uscio in legno, un uragano sembrò travolgerlo, tutt’ad un tratto.
-Shinji-kun! Non hai idea di cosa mi è arrivato smattina, per posta!- disse una vocetta acuta, entrando in casa.
Era Rui. Un bambino dai capelli castani, un viso paffutello, un’espressione simpatica. Come diceva Tohru, uno di quei bimbi che ti fanno venire voglia di mangiarli di baci.
Dietro di lui, fece il suo ingresso un uomo alto, composto, vestito di blu; in mano, aveva un grande mazzo di fiori. Quando questi vide Shinji accortocciato in un angolo dell’ingresso, semi-tramortito per la botta appena subita, si fece subito avanti, per aiutarlo ad alzarsi –Shinji! Che ti è successo?- chiese, prendendolo per le spalle e rimettendolo in sesto.
Il bambino si diede una rapida aggiustata al maglioncino giallo paglia che indossava, per poi rivolgersi all’uomo –Niente, zio Yuki…sono…scivolato.- rispose, lanciando uno sguardo irritato a Rui, che lo stava osservando, ridacchiando il più silenziosamente possibile.
Si, perché Shinji era davvero buffo.
Era davvero buffo vederlo affannarsi così tanto per essere sempre educato e in ordine, quando entrambi sapevano benissimo come avrebbe voluto rompergli la testa con un pugno.
-Shinji, tutto bene?- chiese Tohru, allarmata, dal divano.
Era lei, il motivo. Il suo amico non ne parlava, ma Rui lo sapeva.
-Non preoccuparti, è fatto di gomma…- ribat Kyo, ironico.
Rui rise ancora più forte, mentre Shinji si chiedeva cosa ci fosse di così divertente, nel vederlo preso in giro. E, in ogni caso, non era educato ridere in modo così sguaiato.
Era fastidioso.
Yuki si volse verso la direzione da cui aveva sentito provenire la voce di Tohru, e la vide sdraiata sul divano. Almeno una cosa giusta, allora, Kyo la faceva, visto che permetteva alla moglie di riposarsi, impedendole di caricarsi di preoccupazioni.
-Tohru!- esclamò, andandole incontro. Quando le fu davanti, non perse tempo e le consegnò i fiori –Prego.- disse, semplicemente, ignorando gli sguardi inceneritori che sapeva provenire da Kyo.
Per certi versi…per molti versi…il suo vecchio rivale era rimasto ancora un bambino. Ma Tohru era felice; lui non poteva far altro che essere contento per lei…davvero, contento.
C’erano stati dei momenti, anni prima, in cui aveva temuto che non avrebbe più avuto la possibilità di vederla sorridere. Aveva avuto paura, terribilmente; perché se i suoi timori si fossero avverati, tante cose, per lui, non avrebbero più avuto senso. Tutto sarebbe crollato, come un castello di carte.
Ma lei era lì, serena, che gli sorrideva imbarazzata. E ogni cosa sembrava sorridere con lei.
-Oh…non…non ce n’era assolutamente bisogno, non dovevi…- disse Tohru, sorpresa –Sono…bellissimi, ti ringrazio…-
-Perché non li compra per sua moglie, mi chiedo…- mugugnò Kyo, cercando di non farsi sentire. Lo irritava, quel modo di fare. Lo irritava, anche se sapeva di comportarsi da immaturo.
Perché, per tanto tempo, l’aveva visto come un ragazzo di cui Tohru avrebbe potuto innamorarsi; perché, per un attimo, Yuki le era stato più vicino di quanto lui potesse esserlo; perché c’era qualcosa, fra loro, in cui sentiva che non avrebbe mai potuto intrommettersi.
Qualcosa legato al suo vecchio cappellino rosso.
Era così, lo sapeva. E lo aveva accettato. Ma non gli piaceva…avrebbe cancellato tutto, di loro due insieme, se avesse potuto; strappato ogni pagina, bruciato ogni immagine. Perché a volte faceva male.
Yuki lo ignorò. Non aveva voglia di mettersi a discutere, non in quel momento, davanti a Tohru e ai bambini.
Finse di non essere rimasto scosso.
-E’ un piacere.- disse, sorridendo alla donna.
Shinji e Rui si avvicinarono al divano, e il topolino guardò Yuki con circospezione. Lui gli piaceva; era sempre gentile con la sua mamma, sempre premuroso. A volte, però…vedeva suo padre guardarlo in modo troppo strano…così strano, che temeva di essersi abituato anche lui, a “sospettare” qualcosa, quando incontrava lo zio. Non sapeva bene che cosa, sapeva solo di essere in ansia, ogni volta che si trovava accanto a lui.
Come se fosse colpa di un fattore genetico, che lo costringeva a provare le stesse sensazioni del proprio padre.
O, forse, la colpa era di quella maledizione, che si era spostata.
Il topo. Prima Yuki, adesso lui.
Chi la spezza, rompe il legame con l’animale da cui era maledetto.
E se adesso, lui, in quanto topo, stesse respingendo colui che lo era stato? Era questa la ragione?
Sperava di si. Perché non poteva credere di odiarlo.
Non poteva credere di avercela con quell’uomo, perché si era liberato scaricando quel peso su di lui.
Sarebbe stato troppo orribile.
Quindi, non era così. Non era assolutamente così.
-Mamma…- disse, chinandosi a darle un bacio sulla guancia –Io vado. A più tardi!- poi si voltò verso suo padre –A dopo, stupido gatto!-
Yuki ridacchiò, e la cosa non sfuggì a Kyo.
-Vuoi dirmi qualcosa?- chiese, accigliato, mentre sentiva che il proprio autocontrollo aveva già fatto le valigie e si stava preparando a lasciarlo. Era un tipo molto vivace, che amava viaggiare.
L’altro ricambiò lo sguardo con fermezza –Proprio no.- rispose. Prima di prendere per mano Rui, riservò un ultimo sguardo a Tohru, che stava salutando il figlio.
Era bella. Era davvero bella.
Per lui, che aveva trovato in lei quella figura materna che gli era sempre mancata, il vederla prendersi cura del suo bambino la rendeva ancora più meravigliosa. Un’immagine incredibilmente dolce.
-Bene, allora ti riporto Shinji, appena finisce con la scuola. Ci vediamo!- disse.
-Ciao, zia Tohru!- esclaò Rui, mentre il padre lo conduceva verso l’uscita.
E aspetta, aspetta…
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Vecchio 20-06-2006, 10:54
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ho letto solo la prima parte bellissima poi continuo ora lavoro, ti faccio i miei complimenti più sentiti
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